Eccoci
qua, di nuovo in strada, davanti alle scuole e ai luoghi di lavoro, a
svolgere un compito delicato e difficile, che la situazione storica
ci ha spinto a intraprendere, e al quale, nonostante tutte le
difficoltà del caso, non vogliamo e non possiamo sottrarci. Un
compito allo stesso tempo storico e politico, che ci pone davanti ad
una sfida titanica, contro il pensiero dominante, contro l’apatia e
il disinteresse, contro la pigrizia, contro la superficialità e
l’ignoranza. In poche parole, contro i potenti del mondo e la loro
ideologia che svilisce, corrompe, addormenta, anestetizza le migliori
energie presenti tra di noi, in ogni angolo del mondo. Il lavoro che
svolgiamo come attivisti e come militanti è un lavoro unico, non
paragonabile a niente altro. Ciò che lo caratterizza è il completo
disinteresse verso i valori borghesi dell’arricchimento
individuale, dell’egoismo, del narcisismo, del potere inteso come
volontà di affermare se stessi a scapito degli interessi generali.
Un lavoro quotidiano, paziente e metodico i cui risultati immediati a
volte sembrano smentire gli obbiettivi prefissati, un lavoro che
spesso ci costringe a modificare in corso le forme del nostro
impegno. Un lavoro ostacolato con tutte le forze dalla magistratura,
dalla polizia, da tutto l’apparato repressivo del potere dominante
(compresi i fascisti), ma anche da chi opportunisticamente si finge
compagno di lotta per poi rivelarsi agente del sistema. Questi ultimi
sono proprio i più insidiosi da combattere a causa dei continui
mascheramenti con cui operano: ci riferiamo a quella massa informe di
opportunisti che a parole si presenta come rivoluzionaria ma che alla
fine, quando si tratta di lottare, si sposta sempre dalla parte del
più forte, dei padroni, del potere costituito.
La
nostra lotta è una lotta partigiana nel senso che è una lotta di
parte, dalla parte degli ultimi, degli sfruttati, degli emarginati,
di tutti quelli esclusi dal processo di accumulazione della
ricchezza. Che poi – e questo è il vero paradosso – sono gli
stessi che producono materialmente, cioè con il loro lavoro, quella
ricchezza.
Perché
lottiamo contro lo sfruttamento? Non certo perché ci sentiamo
più buoni degli altri, non perché siamo più intelligenti ma per
una ragione fondamentale: perché crediamo che la felicità
individuale si realizzi solo e unicamente nel progresso di tutta la
società.
Per
questo motivo ci dichiariamo apertamente anti-capitalisti, perché,
come possiamo constatare dall'osservazione della fase economica
internazionale, l’attuale modello di produzione ha smesso oramai da
tempo di svolgere un ruolo progressivo dal punto di vista sociale,
cioè ha esaurito la sua capacità di creare una ricchezza diffusa.
In
questi ultimi anni ci siamo spesso sentiti ripetere, come un
ritornello, che “la storia è finita”, cioè che l’umanità
sarebbe approdata al suo ultimo stadio contraddistinto da un
equilibrio perfetto, dall'armonia e dalla pace sociale. Professori,
scrittori, giornalisti, artisti, tutti i cosiddetti intellettuali di
professione, hanno cantato in coro le lodi del sistema affermando
ipocritamente che, nonostante qualche elemento critico (tipo lo
sviluppo ineguale a livello mondiale), questo è comunque il migliore
dei mondi possibili.
Ma
i fatti, si sa, hanno la testa dura e i conti non tornano.
Le
fabbriche, solo per parlare dell’Italia, chiudono a migliaia ogni
giorno; milioni di uomini e donne hanno perso il posto di lavoro; la
scuola e l’Università sono sempre più strumenti della selezione
di classe; la sanità pubblica sta subendo una ristrutturazione senza
precedenti mirata a distruggere il servizio pubblico per favorire gli
affari degli operatori privati. E così, il proletariato moderno,
cioè la classe degli sfruttati, è attaccato da più fronti:
attraverso i salari sempre più ridotti, a causa di ritmi di lavoro
sempre più bestiali, per mezzo di un modello disciplinare che
riproduce il sistema carcerario e che attraverso il marchionismo (la
variante italiana del capitalismo selvaggio) si è diffuso dapprima
nelle fabbriche e poi in tutti gli altri settori della società.
Interi Stati, attraverso il ricatto del debito, sono stati costretti
dalla Banca Centrale Europea a smantellare le proprie economie e a
svendere i beni pubblici riducendo alla fame le proprie popolazioni.
I casi della Grecia e dell’Irlanda stanno lì a dimostrare che il
capitalismo europeo ha raggiunto il culmine delle contraddizioni e
che il suo declino è irreversibile.
Ma
perché, nonostante le condizioni di vita della stragrande
maggioranza della popolazione europea peggiorino di giorno in giorno,
non si sviluppa nel contempo un movimento forte che rovesci i
rapporti di forza e costruisca una società organizzata secondo un
piano razionale che tenga conto dei bisogni di ciascuno e dove ognuno
lavori secondo le sue attitudini e le sue potenzialità?
Semplicemente
per il fatto che, come diceva Marx, la coscienza degli uomini è
sempre un po’ in ritardo rispetto alla realtà materiale. Cioè
l’uomo e l’insieme dei rapporti che esso stabilisce con i suoi
simili non funziona secondo le leggi stringenti della fisica
meccanica ma in maniera dialettica, ovvero molto più complessa. Sono
tanti gli elementi che determinano il suo pensiero. Tra tutti questi
elementi, tuttavia, ce n’è uno più importante degli altri: il
cosiddetto circuito mass-mediatico attraverso il quale il sistema
pilota l’intelligenza e la volontà degli individui spostando la
loro attenzione o su elementi secondari (tipo quei discorsi populisti
sulla casta) o individuando nemici esterni (tipo gli immigrati) sui
quali canalizzare la rabbia.
La
politica parlamentare, d’altra parte, segue le stesse dinamiche del
consenso mediatico e di conseguenza lo scontro tra i poli di
centrodestra e di centrosinistra verte sulle questioni trattate nei
talk show televisivi mentre sulle questioni veramente importanti le
differenze si dissolvono e si fanno passare così, con l’accordo
trasversale di tutte le forze, i provvedimenti dettati dagli
organismi economici internazionali.
In
questo quadro è assolutamente comprensibile il sentimento di tutte
quelle persone che provano rabbia per le ingiustizie che subiscono
ogni giorno ma, allo stesso tempo, si sentono impotenti perché non
trovano un’organizzazione politica che rappresenti i loro
interessi. L’ultima illusione alla quale gli italiani si sono
aggrappati si chiama movimento 5 stelle. Rimandiamo alla prossima
uscita del giornale un’analisi approfondita di questo movimento,
per ora ci limitiamo a segnalare la totale mancanza di una visione di
classe nel loro programma e perciò non facciamo fatica a prevedere
che sui temi importanti, quelli economici, il partito di grillo non
riuscirà a cambiare un bel niente.
La
vera alternativa al sistema e al capitalismo sta nella lotta di
classe. Noi vogliamo costruire un’organizzazione che armi, con
l’adeguato equipaggiamento, le coscienze degli studenti, dei
precari, dei lavoratori e dei disoccupati. Crediamo che solo una
coscienza collettiva possa affrontare la sfida del rovesciamento del
potere. E’ per questo che preferiamo stare nelle strade e nei
quartieri piuttosto che rinchiusi in qualche sede elettorale. La
nostra proposta è radicalmente diversa. Non chiediamo il voto, ma
l’impegno rivoluzionario!
Se il compito della scuola è quello di formare coscienze critiche, non è difficile comprendere perché un governo prono ai dettami del neoliberismo si accanisca, fino all'ultimo nella sua opera di demolizione del sistema pubblico di istruzione.
I
vari governi nel seguire le politiche di austerità stanno colpendo
tutto ciò che è pubblico e, ovviamente, l’istruzione non è
immune da questi attacchi. Come ogni anno la legge di stabilità
contribuisce ad accrescere la differenza tra le classi sociali
presenti nel paese, infatti sul fronte universitario sono stati
tagliati ben 300 milioni di euro. Si stima che ben 30 atenei italiani
dovranno chiudere i battenti a causa della mancanza di fondi, tutto
questo mentre lo Stato finanzia le scuole private...
Se il compito della scuola è quello di formare coscienze critiche, non è difficile comprendere perché un governo prono ai dettami del neoliberismo si accanisca, fino all'ultimo nella sua opera di demolizione del sistema pubblico di istruzione.
Che
la scuola statale italiana fosse oggetto di un attacco feroce ed
aggressivo, da parte degli ultimi due governi, era evidente anche
agli occhi dei non addetti ai lavori. Ma che un governo “tecnico”
e dimissionario, in un momento di vuoto istituzionale, potesse
assestare alla scuola un colpo così basso da metterne in discussione
l’impianto costituzionale, rappresenta un unicum, in negativo, che
ci deve mettere in allerta sul pericolo di una deriva reazionaria
verso cui il paese sta inesorabilmente precipitando...
Di
cosa parliamo?
Nel
capoluogo molisano, negli ultimi mesi, abbiamo visto nascere e
svilupparsi un ampio
fronte di mobilitazione a difesa della sanità
pubblica, contro il tentativo del governo regionale –
innegabilmente inserito in un più generale contesto nazionale – di
smantellare il servizio
sanitario pubblico
favorendo il privato nell'acquisizione di settori strategici della
sanità.
A
livello regionale, come a livello nazionale, qualsiasi discorso
inserito nel campo delle possibilità passa attraverso la questione
cruciale del debito.
Se in campo nazionale ed europeo è sempre vivo il dibattito sull'inevitabilità o meno del rientro dal deficit, per quanto
concerne le regioni, tale opportunità è da ritenersi praticamente
inattuabile sia per specificità giuridiche proprie delle istituzioni
regionali, sia a ragione dell’inagibilità politica che
inevitabilmente incontrerebbe una simile proposta.
In
quest’articolo, quindi, assumeremo il paradigma del pagamento del
debito come una prospettiva ineluttabile e, di conseguenza,
procederemo ad analizzarne la struttura cercando di individuare le
criticità, in altre parole quei capitoli di spesa che pesano sulla
collettività senza, tuttavia, determinare un’offerta sanitaria
universale ed efficiente.
Ci
avvarremo, nel fare ciò, dell’ottimo lavoro di analisi compiuto in
questi ultimi mesi dal Comitato Pro-Cardarelli, dal Coordinamento
delle associazioni, nonché dal Comitato molisano No-Debito che,
insieme al PRC, ha il merito, se non altro, di aver assunto più di
ogni altra forza in campo, il punto di vista dei lavoratori
dell’indotto ospedaliero e di quei cittadini che non possono
permettersi servizi a pagamento. Come dire: un punto di vista di
classe...
In occasione del
25 Aprile, festa della liberazione dal nazi-fascismo, lontani anni
luce dalle celebrazioni “liturgiche” delle “autorità
ufficiali”, approfittiamo per rilanciare un appello del C.A.A.M.
(Comitato Antifascista e Antirazzista Molisano) in sostegno ai sette
compagni molisani condannati dal tribunale di Isernia per aver
manifestato contro un’iniziativa dei fascisti di CasaPound nell'Ottobre di due anni fa. Questi nostri compagni sono ancora in
attesa di un secondo grado di giudizio. Il miglior modo per celebrare
la Resistenza è quello di mostrare loro la nostra solidarietà.
Oltre a una promessa: la prossima volta ci sarò anch'io!
Non lasciamo che
cancellino la Storia.
AD
ISERNIA C’ERO ANCH'IO!
Comitato
Antifascista e Antirazzista Molisano
Per aderire,
manda una mail a tratturi@insicuri.net
indicando il tuo nome e cognome.
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